Per poter parlare del concetto di “valore affettivo”, è necessario partire dal presupposto che la legge non lo menziona in alcun modo, limitandosi però a dire che chi causa un ingiusto danno ad altri è obbligato a versare il risarcimento e, se non lo fa, ne risponde con tutto il suo patrimonio, presente e futuro. Talvolta chi non è abituato al linguaggio tecnico, non trova facile comprendere come si pongano alcune problematiche strettamente legali che si celano dietro parole apparentemente semplici, come potrebbe esserlo, appunto, “valore affettivo”.
Il risarcimento dei danni è un argomento da diverso tempo al centro di diverse e numerose sentenze della Cassazione, anche a Sezioni Unite. E’ chiaro che tanto più si cerca di estendere il confine di ciò che può essere definito come danno risarcibile tanto più aumentano le somme che dovranno essere versate al danneggiato. Per rendere più comprensibile la questione, si prende solitamente ad esempio la valutazione del valore di un’automobile: un problema di facile soluzione, considerata anche la possibilità di accedere ai vari listini di riferimento del mercato; e così vale per molti altri beni più disparati. Risulta essere invece più complesso quantificare il cosiddetto danno morale, da intendersi come il danno patito ad esempio da un soggetto che ha subito un grave incidente che ha magari inciso anche sulla sua qualità della vita. D’altronde chi può stabilire con assoluta certezza l’ammontare della sofferenza di ciascuno di noi? Considerato poi che ognuno vive il dolore in maniera estremamente soggettiva, con un pregiudizio talmente personale che diventa difficile poterlo quantificare in maniera oggettiva.
La voce danni morali è però anche quella con cui vengono richiamate le maggiori somme di risarcimento; si pensi ad esempio alla perdita di un parente stretto a seguito di un incidente stradale; oppure al discredito sociale che consegue rispetto ad un evento diffamatorio e così via. A questo proposito, onde evitare facili strumentalizzazioni, la Cassazione ha da tempo stabilito che il risarcimento del danno morale non può essere sempre riconosciuto, ma esclusivamente in due casi specifici: quando l’evento causante consiste in un reato oppure quando viene leso un diritto tutelato dall Costituzione. Un semplice fastidio della vita quotidina,a perciò, non parrebbe essere sufficiente ad integrare alcun tipo di risarcimento: l’insoddisfazione a seguito di una nuova tinta di capelli fatta dal parrucchiere, per fare un esempio molto pratico, non risulta essere sufficiente ad integrare alcun tipo di risarcimento, così come il disagio che potrebbe derivare da un qualche disservizio dela linea telefonica. In questi casi l’unica possibilità concreta per poter ottenere il ristoro dei danni subiti è quella di dimostrare che è avvenuto un danno di natura economica (e riprendendo gli esempi sopra, allora, se la tinta viene applicata ai capelli di una modella in prossimità di una sfilata importante e ciò le ha impedito di parteciparvi, si può ben rappresentare un danno economico; oppure i disservizi della linea hanno causato un grave ritardo ad un professionista che è incorso nella scadenza dei termini a causa dell’assenza di connessione a internet, e così via).
Può però il puro valore affettivo essere risarcito?
Secondo una sentenza del Tribunale di Milano “la lesione di un bene che, in ragione del particolare valore affettivo ad esso attribuito dalla vittima, provochi a carico di quest’ultima una ripercussione psichica diversa dal semplice dispiacere o disturbo per il verificarsi del danno, da diritto al risarcimento di un pregiudizio qualificabile come danno morale affettivo“.
In poche parole questa pronuncia osserva come vi siano dei casi nei quali la perdita di un oggetto a cui si è particolarmente legati, tale da arrivare persino a creare delle ripercussioni sulla salute psishica della persona, sia da considerarsi risarcibile. E’ interessante allora il punto sul quale il Tribunale di Milano va a far luce, ma che mette anche in chiaro come sia necessario ed imprescindibile dimostrare l’effettivo danno psicologico causato dalla perdita del bene, danno che andrò perciò a sommarsi a quello del valore oggettivo del bene.