Si rivolge al sottoscritto procuratore una donna in dolce attesa del suo primogenito, lamentando un assoluto disinteresse da parte del padre.
Nello specifico, l’uomo sostiene di non essere il padre del pargolo che la donna porta in grembo e pertanto non ha alcuna intenzione di occupare il ruolo genitoriale nei suoi confronti.
La coppia non ha alcun legame (non sono sposati né conviventi), ma la donna sostiene di aver avuto con l’uomo rapporti non protetti e che, per questo motivo, si dice totalmente sicura che egli sia il padre biologico del bambino.
L’uomo dal canto suo nega ed esclude di aver contribuito in alcun modo alla procreazione e, dunque, esclude ogni sua responsabilità nei confronti della donna e del bambino.
Si sottolinea come il riconoscimento del nascituro sia una scelta personale del padre e non obbligatoria, nonostante ciò ci si chiede se la legge possa costringere l’uomo alla paternità.
Ebbene sì: attraverso una domanda di dichiarazione giudiziale della paternità, presentata presso il Tribunale competente, la donna chiede al giudice il riconoscimento paterno del figlio.
Il giudice procederà richiedendo al padre di sottoporsi a test che accertino la compatibilità genetica tra il padre ed il figlio, prelevando campioni di sangue e saliva da entrambi. Il rifiuto a sottoporsi al test viene considerato dalla legge come prova del fatto che egli sia realmente il padre.
Una volta accertata la paternità, si perfezionano automaticamente gli effetti del riconoscimento e il padre assumerà ufficialmente i suoi obblighi di genitore (mantenere, istruire, educare il figlio e fornirgli assistenza morale) e acquisirà la potestà genitoriale con effetti ex tunc, cioè con effetti retroattivi dalla nascita. Il genitore dovrà anche corrispondere all’altro il contributo al mantenimento pregresso per tutti gli anni trascorsi dalla nascita.
Il figlio acquisirà anche i relativi diritti successori nei confronti del padre.
Non è però obbligatorio acquisire il cognome paterno; vi è, tuttavia, la possibilità di annetterlo dopo il cognome materno.
Nel caso la domanda dovesse essere posta quando il figlio ha più di 14 anni, il test dovrà svolgersi con il consenso del ragazzo; il figlio maggiorenne potrà promuovere autonomamente la domanda giudiziale.
La legge non stabilisce dei limiti di tempo oltre i quali questa domanda non può più essere formulata; pertanto, l’uomo che non ha riconosciuto il figlio rimane esposto al rischio di essere convocato davanti al giudice vita natural durante.
Date le condizioni precarie e la gravidanza a rischio della donna, il sottoscritto procuratore l’ha rassicurata e confortata, assicurando che procederà alla domanda di dichiarazione giudiziale della paternità dopo la nascita del suo bambino.